SAN GIUSEPPE È IL “NOSTRO” SANTO

La Congregazione di San Giuseppe, i Giuseppini del Murialdo

Per chi entra nel santuario di San Giuseppe Vesuviano, Napoli, e si mette ad ammirare le pitture di Pietro Favaro, può conoscere anche alcuni personaggi che hanno espresso una particolare devozione a san Giuseppe. Uno di questi è il venerabile don Eugenio Reffo, confondatore della congregazione dei Giuseppini del Murialdo, ritratto nell’ala dove da tempo si allestisce il presepio, a destra per chi guarda verso il presbiterio.

Don Reffo non solo fu personalmente molto devoto di san Giuseppe, ma più volte spiegò ai suoi confratelli giuseppini perché sono… giuseppini, cioè della Congregazione di San Giuseppe. 

Intanto la congregazione si chiamò così e si trovò ad avere per nome, per patrono e per titolare san Giuseppe, senza alcuna imposizione o per chissà quale pensiero elaborato da qualcuno: “le è venuto come da se stesso”, scrisse don Reffo. 

La congregazione nacque in un collegio dedito all’educazione e con una speciale attenzione ai giovani operai: fu quindi del tutto ovvio e naturale mettere in campo san Giuseppe educatore di Gesù e umile operaio nella bottega di Nazaret, con il compito di mantenere la famiglia con il suo lavoro e di insegnarlo anche a Gesù, che accanto a lui trascorse circa trenta anni della sua vita.

D’altra parte proprio negli anni in cui san Leonardo Murialdo fondava la congregazione, 19 marzo 1873 a Torino nel Collegio Artigianelli,   san Giuseppe ebbe uno speciale riconoscimento perché fu proclamato dal papa Pio IX patrono universale della Chiesa.  La proclamazione avvenne l’8 dicembre 1870, la fondazione della congregazione circa tre anni dopo. 

Coincidenza che don Reffo lesse in modo provvidenziale: non si poteva che raccogliere l’invito del papa per rinnovare la devozione a san Giuseppe, sentirlo protettore nei pericoli, estremo rimedio contro ogni male ed ogni nemico.

Inoltre per don Reffo c’era da mettere in luce un altro tratto importante per la congregazione: essa si interessava del problema del tempo cioè del mondo del lavoro, per questo occorreva una nuova istituzione, la quale si ponesse sotto uno speciale patrocinio. Quasi a dire che non si possono slegare tra loro la missione dei giuseppini nel mondo del lavoro e la loro devozione a san Giuseppe, in una novità richiesta dai tempi.  A nuovi problemi, nuove risposte, e non guasta se ci sono anche dei santi…ad hoc!

SAN GIUSEPPE

Il tema educativo

Nella casa di Nazaret Maria e san Giuseppe hanno un compito particolare:  educare Gesù, accompagnarLo nella sua crescita, prepararLo alla sua missione.

Don Reffo pone qui due equazioni che fondano il sistema educativo giuseppino: i giovani affidati alle cure educative dei giuseppini sono tanti Gesù fanciullo a Nazaret; i giuseppini in quanto educatori sono tanti san Giuseppe, educatore di Gesù. Si tratta di non perdere questa doppia rappresentazione: gli artigianelli sono il Gesù fanciullo di oggi; i confratelli educatori sono il san Giuseppe educatore di oggi. 

Una bella responsabilità!  Agli educatori è chiesto uno sguardo ai ragazzi del tutto puro, casto, libero, evangelico, per vedere in essi i rappresentanti di Gesù; agli educatori è chiesto di rivestirsi delle virtù di san Giuseppe se vogliono essere oggi i suoi rappresentanti. Scrisse don Reffo: “Gesù, che da san Giuseppe ebbe tante sollecite cure e tante espressioni di immensurabile affetto, gode di rimanere nei suoi poverelli sotto la disciplina di lui, ed è perciò di quel nome benedetto ci onora e della protezione speciale di lui ci assiste e ci conforta”. 

Nella misura in cui questa doppia ripresentazione si realizza, noi rinnoviamo l’atmosfera della santa famiglia di Nazaret, anzi le nostre stesse case, le nostre istituzioni, diventano la famiglia di Nazaret nell’oggi della nostra vita. 

SAN GIUSEPPE

Imitare le virtù di San Giuseppe

Don Reffo scrisse per i suoi confratelli e quindi a loro indicò san Giuseppe quale esempio di castità, povertà ed ubbidienza, cioè di esemplare vita religiosa in cammino verso la santità. Tuttavia alcuni spunti di riflessione possono servire a tutti, specie a chi ha il compito dell’educare nella famiglia, nella scuola, nella società.

La castità sta ad indicare la vita donata agli altri senza  riserve; è espressione di un atteggiamento per cui l’altro è importante, merita tutto il nostro impegno e il nostro rispetto,  perché esprime un valore così grande di cui nessuno può rendersi padrone; essere casti è sapersi mettere a servizio, sincero e gratuito, per il bene dell’altro. San Giuseppe visse così il suo rapporto con Gesù e Maria.

La povertà va insieme alla laboriosità. La famiglia di Nazaret vive del lavoro di san Giuseppe, del padre di famiglia, come succede in tante altre famiglie. Con il suo lavoro si rende utile nella società, partecipa alla vita del paese, ha un suo ruolo riconosciuto e rispettato. Così è per noi: il lavoro è fonte di identità, è partecipazione alla condizione naturale di ogni uomo  e non fa mancare il necessario sulle nostre tavole. San Giuseppe ha anche saputo accettare e gestire momenti di vita segnati da una povertà più dura ed estrema: la nascita a Betlemme di Gesù, la fuga in Egitto. Non si è perso d’animo, è rimasto fedele al suo compito di custode e di difensore del Figlio di Dio.

Infine l’ubbidienza: tutti siamo chiamati a compiere la volontà di Dio.  San Giuseppe è l’ubbidiente perfetto; non abbiamo nessuna delle sue parole, sappiamo che ha sempre ubbidito, realizzando quanto gli veniva chiesto. La sua vita è stata una continua risposta ubbidiente alla volontà del Padre, sia nei momenti drammatici, sia di fronte a grandi scelte, sia nell’ordinarietà della vita a Nazaret. Anche la nostra esistenza se vuol dirsi cristiana, deve compiersi alla luce della parola di Dio che ci guida.

SAN GIUSEPPE

San Giuseppe, modello di educatore

Infine don Reffo  mette in evidenza le caratteristiche di san Giuseppe quale educatore di Gesù, caratteristiche che ogni buon giuseppino, e non solo, è invitato a fare proprie. Sono soprattutto tre. 

San Giuseppe è sempre accanto a Gesù, egli è presente, segno “della  carità immensa di cui ardeva del suo cuore”, scrisse don Reffo. 

Inoltre ogni pensiero, ogni preoccupazione, ogni azione di san Giuseppe ha come fine il suo compito presso Gesù.

Ma soprattutto dobbiamo fare nostra “la carità immensa di cui ardeva il cuore di san Giuseppe”, scrisse don Reffo. E continua: “Amiamo le anime a noi affidate, come san Giuseppe amava Gesù, e vedremo i frutti di salute che si produrranno in esse grazie al nostro ministero”. 

Don Reffo terminava un suo scritto dicendo che la devozione a san Giuseppe è una strada sicura per fare nostre le sue virtù di perfetto educatore. E terminava con un consiglio: “E sarebbe bene introdurre l’uso il chiamarlo il nostro Santo”.